LA MALATTIA DI “BEAUTIFUL MIND” SI CHIAMA SCHIZOFRENIA

di SUSANNA BENASSI Quando pensiamo alla "follia" facciamo automaticamente e spesso inconsapevolmente, riferimento alla schizofrenia la "malattia psichiatrica" per antonomasia.  Chi non ricorda la bellissima storia del genio matematico John Nash, narrata nel film di Ron Howard, "Beautiful Mind " che nonostante la patologia è riuscito a  sviluppare una brillante carriera e vincere il Premio Nobel per l'economia (1994). Come abbiamo detto la Schizofrenia è la malattia mentale che nell'immaginario comune meglio rappresenta appunto, il concetto di pazzia, perché  comporta una grave disorganizzazione a livello ideativo e comportamentale, tende ad assumere un decorso cronico caratterizzato da ricorrenze e porta ad un progressivo deterioramento dei livelli di funzionamento in ambito familiare, sociale e lavorativo. Inoltre, poiché l'insorgenza avviene generalmente durante l'adolescenza o in età giovane/adulta i costi sociali e quelli a carico della famiglia sono molto elevati.
 
 
INTERVISTA al Dr. Luca Maggi Psichiatra e Psicoteraoeuta 
Che cos'è la schizofrenia? 
La schizofrenia (S.) è caratterizzata dalla presenza di deliri, allucinazioni, disorganizzazione del pensiero, dei comportamenti e dai cosiddetti “sintomi negativi”, ovvero appiattimento dell’affettività, apatia, abulia (svogliatezza). I suddetti sintomi possono sovrapporsi in vario modo e configurare alcune sindromi cliniche che sono state descritte a partire dalla fine del 1800. 
La schizofrenia era quindi già nota nel XX secolo?
La prima classificazione della malattia e stata fatta Emil Kraepelin che distinse tre grandi categorie psichiatriche: la psicosi maniaco-depressiva, la paranoia e la dementia praecox (demenza precoce). La dementia praecox, secondo la visione di Kraepelin, era una malattia ad insorgenza giovanile con progressione inesorabile verso la demenza. Pertanto si trattava di una condizione morbosa che portava ad un ad un grave deterioramento  cognitivo e che si poneva in contrapposizione alla psicosi maniaco-depressiva che aveva invece un decorso episodico con "restitutio ad integrum" (un ritorno alla normalità) tra una fase e l'altra della malattia, ed una progressione caratterizzata da un minore deterioramento. "Demenza precoce" era la denominazione con cui s'indicava allora quella che oggi chiamiamo schizofrenia.
Quando è apparso sulla scena per la prima volta il termine "schizofrenia"?
Il termine “schizofrenia" e cioè "mente divisa" si deve a Eugen Bleuler che a differenza di Kraepelin, non considerava il deterioramento cognitivo come sintomo fondamentale e riteneva la dissociazione, l'appiattimento affettivo, il comportamento autistico e l'ambivalenza, come elementi primari della malattia.
In base a quali elementi di "prova scientifica", si basavano queste due tesi?
Considerato il periodo storico che è inquadrato come l'epoca della "prima psichiatria biologica", per Kreapelin e Bleuler la S. e le altre patologie psichiatriche erano delle malattie del cervello ed era possibile comprenderne le cause attraverso lo studio delle alterazioni anatomiche e microscopiche del cervello. Ad esempio, è proprio in quegli anni, che Carl Wernicke a soli 24 anni scopri una particolare area del cervello (denominato poi area di Wernicke) che se lesionata rende incapaci di parlare in maniera comprensibile e di comprendere il linguaggio parlato (afasia di Wernicke). Sempre in quest'epoca Alois Alzheimer, stretto collaboratore di Kraepelin, trascorreva intere nottate a studiare l'architettura cerebrale al microscopio ottico e scopri le alterazioni tipiche della demenza senile che prenderà il suo nome (malattia di Alzheimer). 
Quindi il concetto di degenerazione cognitiva, nasce in questo periodo storico… Cosa ha comportato questa nuova rivoluzionaria scoperta in campo medico?
Il concetto di degenerazione che era tipico di questi pionieri psichiatri del diciannovesimo secolo, segnalava una sorta di "tara" familiare, la malattia psichiatrica aveva una marcata connotazione genetica e biologica.  L'epoca della prima psichiatria biologica, termina con il diffondersi della teoria psicoanalitica di Sigmund  Freud, un neurologo che si poneva in netta contrapposizione con i colleghi che l'avevano preceduto.
Gli studi successivi hanno apportato cambiamenti nell'inquadramento della malattia?
Per Kraepelin e Bleuler la malattia schizofrenica aveva quindi una chiara connotazione biologica e nei decenni successivi il concetto di S. e stato rivisto, soprattutto negli Stati Uniti e progressivamente allargato fino ad inglobare molte situazioni che attualmente sono classificate nell’ambito dei disturbi dell'umore. Poiché alla diagnosi di S. è sempre stata associata una prognosi a lungo termine negativa, questo in molti casi ha determinato una sorta di resa terapeutica e la prescrizione di terapie farmacologiche inappropriate.
In quali termini, è stato "rivisto" il concetto di "schizofrenia"?
Accanto alle prime teorie neurobiologiche, si sono fatte strada altre ipotesi eziopatogenetiche che hanno attribuito maggiore valenza all'ambiente familiare, agli eventi di vita e alle relazioni di attaccamento più significative. Attualmente la diagnosi di S. viene posta sostanziosamente per esclusione di tutta un altra serie di disturbi psichiatrici  quali i disturbi dell’umore, i disturbi deliranti, i disturbi da uso di sostanze ed è stata recentemente rivista nel l'ultima edizione del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DMS 5). Pertanto il concetto di S. è stato profondamente rivisitato nell'arco di un secolo.
Quali sono le manifestazioni cliniche principali della Schizofrenia?
Sul piano clinico, la distinzione che viene fatta più frequentemente dallo psichiatra è sulla base della dominanza dei sintomi “positivi” rispetto a quelli “negativi”. I sintomi “positivi” sono rappresentati dalle fasi “calde” di malattia e in genere si riscontrano all’esordio del disturbo o durante le fasi di riacutizzazione. Sono rappresentati dai deliri, dalle allucinazioni e dai disturbi della forma del pensiero. I sintomi “negativi”, per contro, rappresentano la “cenere”, la progressiva compromissione delle funzioni mentali che tende ad instaurarsi nel decorso della malattia.
Può spiegare meglio la differenza tra sintomatologia positiva e negativa?
Carl Jaspers definisce i deliri come false credenze, giudizi patologicamente falsati della realtà ed ha individuato tre criteri fondamentali per fare diagnosi: 1) certezza soggettiva, 2) incorreggibilità alla critica e 3) falsità del contenuto. In sostanza, un delirio è una convinzione falsata della realtà, impermeabile a qualsiasi critica e dal contenuto palesemente impossibile. Riguardo al contenuto del delirio, talvolta possono sorgere dubbi sulla falsità: si pensi ad esempio ai temi di gelosia. I deliri che si riscontrano più frequentemente nella S. sono i deliri persecutori, di riferimento, di furto, lettura e trasmissione del pensiero. Per esempio un tipo di delirio persecutorio è di essere spiati dalla CIA o più semplicemente da persone che ci vogliono fare del male. 
Come si comporta chi è preda di un delirio di questo genere?
In questi casi le persone sono assolutamente convinte di essere in pericolo, controllano continuamente la casa alla ricerca di telecamere nascoste o di microspie, diffidano delle persone, hanno un atteggiamento estremamente sospettoso e talvolta ostile. A nulla servono le rassicurazioni o la palese confutazione della credenza patologica, ad es. togliendo un faretto e dimostrando che non ci sono strumentazioni nascoste.
Quali altri deliri si riscontrano più frequentemente nella schizofrenia?
I deliri considerati per lungo tempo caratteristici della S. sono i deliri di lettura, trasmissione, furto, inserzione e controllo del pensiero: si tratta essenzialmente di esperienze di passività durante le quali i pazienti sono convinti che qualcuno controlla la loro mente, i pensieri e le azioni a suo piacimento. Nei deliri di riferimento le persone sono convinte che tutti parlano di loro, che qualsiasi sorriso, sguardo, atteggiamento, affermazione è a loro riferita. Ad es. sono convinti che durante la visione di un programma televisivo stiano parlando di loro. In realtà nella S. può essere presente qualsiasi tipo di convincimento delirante come i deliri megalomanici, di gelosia, somatici, religiosi, ecc.
Può spiegarci cosa sono esattamente le allucinazioni?
Le allucinazioni sono esperienze sensoriali falsate della realtà e possono essere di vari tipi: uditive, visive, somatiche tattili e olfattive. Quelle che si riscontrano più frequentemente nella schizofrenia sono quelle uditive e visive. Le allucinazioni uditive della S. sono caratterizzate dal sentire voci che provengono dall’esterno, riferite al paziente, spesso dialoganti tra di loro e dai contenuti minacciosi o denigratori. Quando le “voci” provengono dall’interno, “dalla testa”, si parla di pseudo-allucinazioni uditive. 
Le allucinazioni visive invece, in cosa consistono esattamente?
Le allucinazioni visive si riscontrano meno spesso rispetto a quelle uditive e sono prevalentemente caratterizzate dalla visione di persone in maniera tridimensionale e perfettamente integrate nell’ambiente. Il paziente non è critico rispetto all’esperienza allucinatoria a differenza di altre condizioni organiche durante le quali possono verificarsi allucinazioni visive. 
Per esempio?
Ad es. nel corso del trattamento del morbo di Parkinson con dopamino-agonisti si possono avere delle esperienze allucinatorie che, tuttavia, sono il più delle volte criticate dai pazienti e recedono con l’adeguamento della terapia farmacologica. In questi si parla di allucinosi. 
Le allucinazioni tattili, invece, in che modo si manifestano?
Le allucinazioni tattili sono tipiche della S. In sostanza il paziente è convinto che qualcuno lo stia toccando o si diverta a tormentarlo facendogli degli scherzi.
Lei ha parlato di "disorganizzazione del pensiero" …cosa significa?
La disorganizzazione del pensiero è l’elemento maggiormente caratterizzante la S. e consiste essenzialmente nella perdita progressiva dei nessi logici ed associativi con un ragionamento che appare confuso, sconclusionato e talvolta francamente incomprensibile. Nei casi più lievi si può riscontrare un pensiero vischioso, circostanziato, ancorato a particolari di scarso significato rispetto al tema affrontato, con frequente perdita dell’obiettivo del discorso (deragliamento dal tema). Nei casi più gravi si arriva alla cosiddetta “insalata di parole”, un cumulo di frasi senza senso e spesso infarcite da termini nuovi creati dal paziente stesso (neologismi). Un’altra caratteristica sintomatica della S. sono i comportamenti catatonici.
Che significa catatonici?
Per catatonia s’intende un insieme di disturbi motori anomali e disorganizzati che vanno dallo stupor catatonico (una sorta di paralisi emotiva e comportamentale in cui il soggetto alle stimolazioni ambientali) all’eccitamento catatonico (un’iperattività motoria incontrollata e non finalizzata), alla “flessibilità cerea” in cui i pazienti mantengono posizioni innaturali e scomode a lungo tempo.
Inoltre, si riscontrano frequentemente altre manifestazioni motorie, talvolta indotte anche dal trattamento farmacologico, come i movimenti stereotipati (dondolarsi, ripetere sistematicamente alcuni gesti), i manierismi (amplificazione di gesti finalizzati) e i comportamenti ritualizzati.
E invece i sintomi negativi, quali sono?
In ordine di frequenza sono rappresentati dall’appiattimento affettivo, dal ritiro sociale e dalla povertà del linguaggio.
Per appiattimento affettivo s’intende una risposta ridotta e/o inappropriata o mancante in vari contesti interpersonali. Ad es. ridere mentre si parla di un lutto, oppure, ridere da soli ed in maniera incongrua nel corso di una conversazione, mancanza di empatia, fissità della mimica e dello sguardo con difficoltà a mantenere il contatto visivo.
Il ritiro sociale è causato dalla perdita d’interesse per se stessi e per le relazioni con gli altri, spesso i pazienti trascurano la propria igiene personale, vestono in maniera eccentrica, hanno un’estrema povertà del lessico e del linguaggio, mancano di volontà (avolizione) e vivono in maniera apatica, incapaci di provare emozioni (anedonia).
 
La schizofrenia è una sola o ce ne sono di diversi tipi?
Clinicamente sono stati classificati almeno 5 sottotipi di S. Il primo ad essere stato descritto alla fine del 1800 è il sottotipo “disorganizzato” (ebefrenia) nel quale prevalgono la disorganizzazione ideativa, comportamentale e l’appiattimento dell’affettività. L’esordio è in età giovanile ed ha un decorso progressivamente ingravescente. Il sottotipo forse più conosciuto a livello popolare è la “S. paranoide” che, come dice il nome, è caratterizzata dalla prevalenza di deliri a carattere persecutorio spesso sostenuti da allucinazioni uditive. Tende ad avere un esordio più tardivo rispetto agli altri sottotipi ed caratterizzato da minore compromissione funzionale. La “S. catatonica” è dominata dalla presenza di sintomi catatonici. Questi pazienti hanno un esordio precoce e probabilmente la compromissione funzionale ed il decorso peggiore rispetto agli altri sottotipi. Il sottotipo “residuo” è diagnosticato quando la fase attiva della patologia è praticamente spenta e prevale la sintomatologia negativa. Infine si parla di “S. indifferenziata” quando non sono soddisfatti i criteri per i precedenti sottotipi.
 
I vari tipi di schizofrenia, sono variati nel tempo? 
Nell’ultima edizione del DSM 5 c’è stata una sorta di sconvolgimento rispetto alle classificazioni precedenti perché i sottotipi classicamente descritti sono stati eliminati. Infatti, si è preferito individuare 9 dimensioni psicopatologiche (allucinazioni, deliri, disorganizzazione, comportamento psicomotorio anomalo, espressione emotiva, avolizione, compromissione cognitiva, depressione, mania) e per ognuna è necessario stabilire un livello di gravità da 0 (assente) a 4 (grado severo). In sostanza, in questo modo sarà possibile ottenere un “profilo psicopatologico” di ogni paziente e seguirne in maniera più accurata l’evoluzione e la risposta ai trattamenti.
 
Note Biografiche
Il Dr. Luca Maggi è nato il 22/04/67 a Viareggio (LU), si è laureato in Medicina e Chirurgia presso Università di Pisa nel 1993, nel 1999 ha acquisito la Specializzazione in Psichiatria e nel 2005 il Dottorato di Ricerca in Neuropsicofarmacologia clinica presso la medesima Università. Ha svolto diversi contratti libero-professionali presso la Clinica Psichiatrica di Pisa come: a) Direttore Medico di una studio multicentrico internazionale finanziato dal NIH, dal 2003 al 2008, b) consulente psichiatra interdipartimentale, dal 2002 al 2009, c) supporto all'attività intramuraria in regime di ricovero del prof. G.B. Cassano, dal 2003 al 2005. In ambito accademico è stato coordinatore e tutor del master universitario di II livello in "Psicoterapia integrata ad orientamento interpersonale" dal 2007 al 2011. E’ co-autore di diverse pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali. Attualmente ricopre l'incarico di Direttore Sanitario presso la struttura terapeutico-riabilitativa per disturbi dell'alimentazione "Villamare" a Lido di Camaiore (LU).
 

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