“E FU SUBITO SERA” … IL PARKINSON SECONDO FIORENZO GORI

di SUSANNA BENASSI  Piccoli,banali gesti non riusciti, insinuano un dubbio nella vita tranquilla e serena del quotidiano che la mente archivia, almeno fino alla volta successiva quando l'azione magari sarà diversa, ma sempre inceppato o poco fluido si presenterà il movimento.Fastidio e curiosità sono i primi sentimenti che si fanno strada  dentro chi inizia ad osservare se stesso con i sensi acuiti da un timore che suggerisce,senza definire, ipotesi non gradite. Così, di fronte al medico che pronuncia la diagnosi, la luce si spegne. Una voce estranea trasforma in certezza quella che fino a quel momento era solo un'ipotesi, e  il mondo sembra andare in pezzi. Non è la notizia della malattia in se',a destabilizzare,a irretire i sensi,quanto la prospettiva del cambiamento che inevitabilmente questa imporrà.Guardarsi e non riconoscersi e' quindi il punto di partenza di un viaggio circolare e perpetuo che ha come sola unica meta la costruzione e la continua "rettificazione" di una nuova identità interiore, attraverso una serie di tappe in luoghi conosciuti, ma mutati e mutanti  nel tempo. Un terremoto emotivo necessario che lentamente perde d'intensità senza mai placarsi del tutto e spesso fa emergere potenzialità straordinarie di cui non si sospettava l'esistenza.

 

Intervista a Fiorenzo Gori

Fiorenzo Gori e' un ex insegnate, pedagogista che da anni conduce iniziative di formazione e di ricerca per docenti in ambito scientifico-tecnologico e dello svantaggio. Dopo la diagnosi di Parkinson si e' dedicato alla scrittura e al disegno. Ha pubblicato recentemente due libri di Filastrocche e un libro sulla sua “esperienza indesiderata”, come lui ha definito il Parkinson che ha scritto con un grande amico dal titolo Il bradipo e la motocicletta di Fiorenzo Gori, Giovanni Lomi, Edizioni Vanini, Pistoia 2012. 

 

Chi e' Fiorenzo Gori?

Ci risponde leggendo una delle filastrocche, raccolte nel suo libro per bambini – Mettersi nei pasticci- intitolata "Che fiore sei?"

Sono una rosa pungente
quando scortese e' la gente.
 Sono una margherita bianca
 quando il dubitare stanca.
 Sono un'orchidea rosa
 se faccio la persona preziosa.
 Sono una pensosa viola
 se la mente vuol stare sola.
 Sono un ciclamino elegante
 quando mi sento esuberante.
 Ma il fiore che sono adesso
 e' il papavero rosso.

 Esso si mostra sicuro tra il grano
 ed e' fragile se lo sfiora una mano.

Quali sono stati i primi campanelli di allarme? 

Il primo segnale l'ho avuto mentre cercavo di spargere un pizzico di sale sul piatto, per condire la pietanza. Mi sono reso conto che c'era qualcosa di diverso nel movimento di quelle due dita che sfregavano l'uno contro l'altro.

Cosa ha pensato?
Ho pensato che fosse strano ed ho iniziato a ragionarci sopra alla ricerca di una spiegazione che però non riuscivo a trovare.

Cosa ha fatto,allora?
Per un certo periodo non ho fatto nulla, pur continuando a pensarci. Poi, con mia moglie Giuliana, abbiamo cercato di fare delle ipotesi, senza riuscire però a trovare una risposta esauriente. Infine, mi sono deciso a consultare un medico, un neurologo. Mi disse che non avevo niente di preoccupante, ma la risposta non mi persuase.

A questo punto cosa e' successo?
Decisi di andare a farmi visitare da un altro neurologo indicatomi dal mio medico di famiglia. Presi appuntamento con il Dr. Claudio Lucetti. Trovai un medico preparato ed una persona cordiale, attenta nell'ascolto e capace nello stabilire il giusto "nesso" tra l'individuo e la patologia.

Puo' spiegarci meglio cosa intende con "nesso tra l'individuo e la patologia"?
C'è  Fiorenzo con la sua personalità e c'è Fiorenzo, il paziente, con la sua patologia e con il suo modo di “sentire”il disagio che questa produce. Il medico ha due possibilità, una riduttiva che si concretizza nel "considerare" soltanto il paziente, come tale, ed interessarsi unicamente alla patologia. L'altra, quella più incisiva,  consiste nell'inserirsi tra la persona e il paziente considerandoli un tutt'uno. In questo caso il medico può gestire la cura tenendo presente le caratteristiche della malattia e quelle della persona. Si ottiene così una terapia cucita su misura che permette di ottenere quello che definirei un "disagio sostenibile" – il disagio c'è, ma e' reso "sostenibile" dalla globalità dell'approccio che il medico realizza.

 

Qual'e' stata la sua prima reazione di fronte alla diagnosi di Parkinson?
Be', quando Lucetti mi disse che avevo il Parkinson, sono letteralmente fuggito dalla sua stanza e dopo pochi metri mi sono sentito male. Lui mi ha seguito, ha cercato di tranquillizzarmi e mi ha fatto il regalo più bello che potessi desiderare in quel momento di avvolgente disorientamento, di paura e di solitudine.

Cosa le ha regalato?
Mi ha dato il suo numero di cellulare, dicendo che avrei potuto chiamarlo ogni volta che ne avessi avuto bisogno.

Quanti anni aveva?
Cinquanta.

Che peso ha il tipo di rapporto che si stabilisce con il medico nella cura di una malattia come il Parkinson? E può fare la differenza?
Nella mia esperienza le capacità del medico sono state determinanti da due punti di vista. Il  primo è quello strettamente connesso alle sue conoscenze specialistiche di tipo professionale (aspetto che ricerca il paziente).  Il secondo riguarda le capacità psicologiche e relazionali che chiamano in campo la personalità del soggetto in cura (aspetto aggiunto che qualifica – il curare- come “prendersi cura”). Nel mio caso questo secondo aspetto è risultato di un importanza non inferiore al primo. Ho incontrato un professionista che è riuscito a  promuovere in me ed in mia moglie comportamenti e atteggiamenti utili per gestire al meglio la patologia.  Direi che il medico ha saputo avvolgere i due aspetti, la cura e l’attenzione alla persona, come la doppia elica della vita.  Non ho alcun dubbio…il medico fa la differenza.

Dopo aver ricevuto questa notizia ed essere tornato a casa con una verità così "scomoda", come ha affrontato la situazione ?
Ho sentito l'impellente desiderio di stare da solo. Preciso che sono una persona che ha fatto sempre del rapporto con gli altri un punto di forza nella sua vita. Ho avvertito subito con straordinaria sicurezza il bisogno di una fuga dal mondo che mi circondava per cercare dentro me stesso possibili risorse. In quel periodo dovevo capire, scoprire me stesso e  desideravo farlo da solo.

Può spiegarci meglio, quali sono stati i suoi sentimenti e le sue esigenze prioritarie in quel preciso momento?
Avevo bisogno di silenzio per ascoltarmi, per conoscermi e sentivo di non poter lasciare spazio ad alcuna interferenza. Avvertivo come necessaria e piacevole la mia fuga. Ma c'è un secondo aspetto che che mi spingeva in questa direzione: non ero abbastanza forte da manifestarmi agli altri,non sarei stato in grado di confrontarmi con serena autenticità. Meglio aspettare. Ho atteso quasi due anni prima di coinvolgere parenti ed amici nella mia situazione

Quindi, non parlerei di fuga, quanto piuttosto di "concentrazione assoluta"…e' così?
Giusto, non e' stata una fuga da tutto e da tutti, non sono fuggito da me stesso, anzi mi sono cercato con cura ed amore, non sono fuggito dalla patologia che invece ho voluto conoscere bene. E' da allora che ho iniziato anche un piacevole percorso Yoga.

Il silenzio e' necessario per ritrovarsi, per riuscire poi a ristabilire un contatto con gli altri?
Non so se vale per tutti ma per me il silenzio ha svolto un grande ruolo all'inizio. Dopo qualche mese però, stava diventando pesante e ho capito con chiarezza che  avevo bisogno degli altri, così ho iniziato a parlare della mia situazione,con molta serenità. Ho ricevuto dai familiari più stretti e dagli amici ,contributi indescrivibili.

Cosa ha trovato dentro se stesso, durante questo viaggio?
Ho trovato me stesso! Le mie radici,  risorse impensate, nuovi interessi, nuovi strumenti per esprimere amore, amicizia, creatività, fantasia. Ho trovato passione ed interesse per gestire la patologia.

Ha detto che ad un certo punto ha capito di essere pronto a confrontarsi con gli altri… C'è stato un momento preciso, legato magari ad un evento particolare che l'ha spronata a palesarsi?
Direi che ci ne sono stati alcuni dirompenti! I bambini a scuola, con le loro domande, ingenue e spontanee, mi hanno fatto capire che era giunto il momento di uscire allo scoperto. Mi chiedevano – Fiorenzo, perché ti muovi così lentamente ? – Perché non tieni ferme le mani?- Grazie a loro e a mia moglie Giuliana che mi ha accompagnato anche nel silenzio, ho iniziato a parlare della mia malattia. Ed è cominciata la mia rinascita.

Parlare della sua malattia, l'ha aiutata? In che modo?
A cercare una nuova normalità, a non sentirmi più osservato, ad essere più autentico, a non dare eccessivo peso alle mie lentezze, alle mie fragilità.

Come si gestiscono i "disagi" che procura il parkinson?
Prima di tutto voglio precisare che ciascuno ha il suo modo di rapportarsi alla malattia. Molto spesso si sente dire che bisogna accettare la situazione… io non ho mai accettato la malattia. Questa non accettazione, unita alla consapevolezza che dovevo convivere con essa, mi ha fornito molte energie ed una grande passione nel  cercare soluzioni accettabili per far fronte alle insorgenti difficoltà.

Si e' mai fatto prendere dallo sconforto ?
Il giorno della diagnosi. In certi momenti ho avvertito molta tristezza per le difficoltà che provavo nell’azione di insegnamento, ho più volte pensato di non essere all’altezza della complessità del rapporto educativo. Ma mai mi sono sentito prendere dallo sconforto.

Per quanto tempo, dopo la diagnosi, ha continuato ad insegnare?                         Per sette anni. Gli ultimi due o tre sono stati impegnativi.

Secondo la sua personale esperienza,quanto e' importante l'attività intellettiva nella cura di questa malattia? E quanto, lo e' quella fisica?
Sicuramente ci saranno studi medici che possono dare una risposta. Personalmente,ritengo che un rilevante contributo può essere portato dall’attività  fisica che accompagna i farmaci, contribuisce a dare tono e forza alla muscolatura che si stanca e si rifiuta di fare quello che la mente vorrebbe. Il contributo positivo dell'esercizio fisico lo sperimento ogni giorno, esso è determinante per gestire il disagio . Dell'impegno intellettuale so, da letture, della sua importanza.

Quali sono le potenzialità che ha visto emergere in se stesso in questa circostanza e che non pensava di possedere?
Il recupero del valore della lentezza in un mondo che ci travolge. La ricerca di essenzialità ed autenticità nel confronto con gli altri. E poi l’amicizia come bisogno di dare oltre che di ricevere. La passione nel trovare risposte idonee ai problemi che mi si presentavano, la fantasia e la creatività, l’essenzialità, il coraggio, la leggerezza.

Quali consigli si sente di dare a chi si trova ad affrontare la malattia ?
Non parlerei di consigli, quanto di frammenti di una storia tutta personale che spero possa fornire qualche spunto a chi si trova a vivere questa situazione. Ne elenco alcuni: assumere un atteggiamento di opposizione alla rassegnazione, impegnarsi nella conquista di un modo di pensare flessibile e aperto che consideri la realtà come un’entità in continua ed imprevedibile mutazione, ricercare un rapporto medico-paziente incentrato sulla condivisione della cura, coltivare interessi, incontrare gli altri e fare molta attività motoria. Non accettare la malattia in quanto questo porta inevitabilmente ad un comportamento remissivo.

Cos'è il Parkinson? Può darci una sua definizione personale ?
Sa che è la domanda più complessa, e più interessante che abbia ricevuto sulla mia patologia? La sua formulazione sottintende una verità che a molti sfugge: ogni malato di Parkinson ha una sua propria tipologia di malattia diversa da qualsiasi altro paziente, diversità derivante dai diversi modi di sentire e di pensare la malattia. Per me,adesso, il Parkinson  è una “indesiderata esperienza”, domani potrebbe essere altro.

Chi è Fiorenzo Gori oggi, rispetto a ieri?
Fiorenzo oggi è fortemente impegnato a gestire un dialogo tra continuità (desiderata) e  discontinuità (imposta), questo lo rende molto diverso  nei suoi processi “interiori”. Diverso non vuol dire necessariamente peggiore. Fiorenzo infatti ha maturato pensieri e atteggiamenti che ritiene interessanti e piacevoli come l'essenzialità, la lentezza, la pensosa leggerezza. Ma anche dal punto di vista degli interessi ha operato dei cambiamenti rilevanti,come il piacere di fare attività fisica, il desiderio di stare con gli altri, lo scrivere, il disegnare. Oggi, a distanza di 14 anni dalla diagnosi può dire di essersi distaccato poco dalla vita cosiddetta “normale”.

 

Nota: Immagine (disegno di Fiorenzo Gori), tratta dal libro per bambini, di Fiorenzo Gori "Mettersi nei Pasticci", edito da Vannini.

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