QUANDO IL GIOCO… NON DIVERTE PIU’

IL GIOCO PATOLOGICO: UN FENOMENO SOCIALE IN PREOCCUPANTE ESPANSIONE, ANCHE IN VERSILIA
La vita umana è caratterizzata da una serie di bisogni che hanno la necessità di essere soddisfatti. Bisogni primari, come il nutrirsi, il riprodursi, il riposarsi, espressione di un istinto di conservazione che garantisce la continuazione della specie. Altri bisogni invece che potremmo definire “secondari”, ma non per questo meno importanti nell’esistenza di un individuo e riguardano tutte quelle attività che rappresentano un vero e proprio “cibo” per la nostra mente e il nostro “spirito”. Tra questi rientra il “gioco”, antico quanto l’uomo, attraverso il quale l’individuo crea relazioni, si rilassa, diventa protagonista, trova gratificazioni e dimentica i problemi del quotidiano. Nella sua dimensione “naturale” il gioco è quindi benefico per l’essere umano, ma può accadere che da attività prettamente ludica degeneri in patologia e assuma le dimensioni di un vero e proprio problema sociale. In Italia è stata stimata una percentuale di giocatori patologici pari al 3% della popolazione generale (Fonte: Spazzan 2001). Cerchiamo di capire cos’è e come si manifesta questa dipendenza attraverso le parole del Dr. Luca Maggi Psichiatra, Psicoterapeuta.
Cos’è il gioco patologico?
Rientra tra le dipendenze comportamentali e può essere descritto come l’incapacità di resistere all’impulso di giocare, nonostante questo arrechi un danno a livello relazionale, familiare e sociale.
Cos’è una dipendenza comportamentale?
È un’alterazione del naturale equilibrio che sta alla base dei meccanismi di gratificazione. Si riscontrano le stesse caratteristiche della dipendenza da sostanze ma l’oggetto della dipendenza è rappresentato da comportamenti o attività socialmente accettate (es. gioco d’azzardo, sesso, acquisti, computer, internet, televisione, ecc).
Come funziona in ognuno di noi, il meccanismo naturale della gratificazione?
Nel nostro cervello c’è un’area (nucleo accumbens) che si attiva in risposta a tutta una serie di stimolazioni fisiologiche (es. fare l’amore, superare un esame, gustare un buon cibo, ecc) ed è potentemente attivata dalle sostanze di abuso. Questo meccanismo naturale segue un percorso ben preciso che da vita a una reazione a catena, per cui attraverso un determinato stimolo (es. vedere in pasticceria un dolce che ci piace) a cui segue un certo comportamento (es. mangiare il dolce) il nostro cervello rilascia dopamina nel nucleo accumbens.
Qualche esempio per spiegare meglio il meccanismo?
Tutte le gratificazioni umane sono mediate dal rilascio di dopamina nel “sentiero dopaminergico mesolimbico”, detto anche “sentiero della ricompensa” perché rappresenta la via finale comune di qualsiasi gratificazione. Questa via può essere stimolata da una vincita, dal bere un bicchiere di vino, dal fare l’amore e via dicendo. Ciascuna di queste situazioni produce un certo rilascio di dopamina (misurata in “quanti”) il quale provoca piacere. Maggiore è il rilascio di dopamina, più intenso è il piacere. In realtà, anche altri neurotrasmettitori e neuromodulatori partecipano, in misura minore, ai meccanismi del piacere: le endorfine, l’anandamide (“marijuana cerebrale”) e l’acetilcolina (“nicotina cerebrale”).
Cosa accade quando questo meccanismo si altera?
Quando nell’individuo scatta una ricerca sempre maggiore del piacere, più o meno rapidamente s’instaura un fenomeno di assuefazione che, nel caso delle sostanze di abuso, viene definito “tolleranza”. La tolleranza fa si che ad una determinata stimolazione (dose nel caso delle sostanze) non corrisponde più il medesimo livello di gratificazione e per raggiungerlo, o meglio, per inseguirlo, si è costretti a ripetere in maniera esponenziale quel comportamento fino ad arrivare al punto di non ritorno in cui l’ atto riprodotto seppure freneticamente, produce una gratificazione sempre più effimera.
Come si differenzia il gioco inteso come “attività normale”, da quello patologico?
Come già accennato, la “dimensione sociale” del gioco è parte integrante della natura umana, contribuisce alla socializzazione e rappresenta un momento di evasione e svago dai problemi del vivere quotidiano. Il gioco assume una connotazione patologica quando l’individuo non riesce a controllare il proprio comportamento e continua a giocare nonostante le conseguenze negative a livello economico che si ripercuotono inevitabilmente sul funzionamento familiare, sociale e lavorativo. Solitamente si distingue una “dimensione problematica” del gioco, ovvero, quella in cui l’individuo inizia a sviluppare una dipendenza, ed una “dimensione patologica” che identifica una vera e propria patologia conclamata o dipendenza.
Cosa avviene nel caso di gioco patologico?
Nel gioco d’ azzardo si viene a creare una dipendenza del giocatore dalla stimolazione del sistema della gratificazione da eventuali vincite ma anche dall’essere concentrato sul gioco nell’aspettativa della vincita (arousal). In caso di vincita, la gratificazione provata, induce il giocatore a pensare di essere “il migliore”, di avere la fortuna dalla sua ed è quindi spinto a ripetere l’atto con sempre maggior frequenza. In genere, è a seguito di una grossa vincita che inizia la cosiddetta “carriera del giocatore”, ossia il gioco sta diventando “patologico”.
Quali sono le fasi che conducono alla patologia?
La carriera del giocatore è generalmente divisa in tre fasi (Custer, 1984): LA FASE VINCENTE, o iniziale che dura circa 3-5 anni, durante la quale il giocatore sperimenta gli aspetti ludici del gioco e minimizza i rischi potenziali che esso comporta. LA FASE PERDENTE che ha una durata media di 5 anni, nella quale le perdite diventano sempre più copiose e la tendenza è quella di attribuire alla sfortuna la colpa del cattivo andamento del gioco. In questa fase il giocatore tende ad aumentare sistematicamente la posta nel tentativo di recuperare quanto ha perduto (“inseguimento della perdita”). In sostanza, più perde, più alte sono le cifre che scommette. Al termine di questa fase, arriva inevitabilmente la richiesta di denaro ad amici, familiari e conoscenti e il giocatore sperimenta la totale perdita di controllo della situazione. LA FASE DELLA DISPERAZIONE talvolta è complicata da attuazione di attività illecite e/o da una sintomatologia depressiva con propositi suicidari o di fuga.
Perché non tutti coloro che praticano il gioco d’azzardo sviluppano una dipendenza? Esiste una predisposizione?
Dietro ad una qualsiasi dipendenza c’è sempre una predisposizione sia biologica che psicologica, ed è facile trovare soggetti che passano da una dipendenza all’ altra. È importante fare prevenzione attraverso campagne di sensibilizzazione al problema, anche e soprattutto nei luoghi dediti al gioco.
Quali sono le categorie più esposte a sviluppare questa patologia? Vi sono differenze di genere?
La possibilità di diventare un giocatore patologico (patological gambler) è due volte maggiore negli uomini rispetto alle donne ed è inversamente proporzionale al livello di istruzione. Per quanto riguarda le motivazioni, gli uomini sono stimolati dall’eccitazione del gioco (“giocatori d’azione”). Per contro, le donne giocano più frequentemente per fuggire da situazioni spiacevoli (“giocatori per fuga”). La malattia progredisce più rapidamente nelle donne che iniziano a giocare in età più avanzata, ma chiedono aiuto più facilmente rispetto agli uomini (Fonte: Lavanco e Varveri, 2005).
Perché questo fenomeno si è andato incrementando negli ultimi anni ?
Perché le modalità del gioco d’azzardo si sono amplificate in maniera esponenziale. Infatti, internet, la globalizzazione e la diffusione negli esercizi commerciali di “Gratta e vinci”, “Win for life”, gaming machines hanno portato ad una modalità di gioco solitaria, spesso sganciata dai naturali luoghi di ritrovo (bar, sale da gioco, ecc) ed aperta ad un pubblico sempre maggiore (es. casalinghe, adolescenti, anziani). La possibilità di accedere ad un tavolo da gioco virtuale a qualsiasi ora del giorno e della notte ha certamente favorito la diffusione del problema. Inoltre, poiché si tratta di partite veloci (es. videopoker, Gratta e vinci, Bingo, gaming machines) s’instaura più facilmente la perdita di controllo e la dipendenza. Altri giochi come il lotto, la lotteria, il totocalcio, da questo punto di vista sono più protettivi perché il risultato è differito nel tempo.
Come si cura questa patologia?
Si cura con un programma di psicoterapia individuale, ma soprattutto di gruppo, a cui può essere abbinato un trattamento farmacologico. Le cure che per esperienza personale, si sono dimostrate più efficaci sono quelle applicate nel “setting di gruppo” in cui è consentita la presenza dei familiari. Questo percorso permette di porre in essere un’opera di “educazione” al fine di inquadrare il paziente come “malato”, quindi bisognoso di cure, di alleviare i sensi di colpa che lo affliggono e di gestire la conflittualità a livello familiare che questa patologia produce.
Ha altri suggerimenti da dare in termini di cure ?
Centri per la terapia di gruppo sono in via di costituzione nelle varie realtà territoriali a seguito del dilagare del problema e ritengo utile in questi casi l’apporto fornito da associazioni di auto-mutuo-aiuto sul modello anglosassone, dove persone accomunate dallo stesso problema si riuniscono per sostenersi emotivamente ed aiutarsi a vicenda. In alcune esperienze di questo genere, sono stati presi contatti con istituti bancari per poter offrire soluzioni economicamente sostenibili al fine di saldare i debiti prodotti dai giocatori patologici.
Note biografiche
Il Dr. Luca Maggi è nato il 22/04/67 a Viareggio (LU), si è laureato in Medicina e Chirurgia presso Università di Pisa nel 1993, nel 1999 ha acquisito la Specializzazione in Psichiatria e nel 2005 il Dottorato di Ricerca in Neuropsicofarmacologia clinica presso la medesima Università. Ha svolto diversi contratti libero-professionali presso la Clinica Psichiatrica di Pisa come: a) Direttore Medico di una studio multicentrico internazionale finanziato dal NIH, dal 2003 al 2008, b) consulente psichiatra interdipartimentale, dal 2002 al 2009, c) supporto all’attività intramuraria in regime di ricovero del prof. G.B. Cassano, dal 2003 al 2005. In ambito accademico è stato coordinatore e tutor del master universitario di II livello in “Psicoterapia integrata ad orientamento interpersonale” dal 2007 al 2011. E’ co-autore di diverse pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali. Attualmente ricopre l’incarico di Direttore Sanitario presso la struttura terapeutico-riabilitativa per disturbi dell’alimentazione “Villamare” a Lido di Camaiore (LU).
Susanna Benassi

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