IL CAMPEGGIO DI FORTE DEI MARMI

di Luca Basile

Quando mio babbo Michele e mia mamma Eufemia  videro entrare il primo caravan nel piazzale del  Camping International Versilia, ricavato in una pioppeta sospesa fra Vittoria Apuana e Querceta, era il 1962. Mio babbo è di Caserta. Troppo complicato: "dov’ è Caserta? " si chiesero alcuni del posto.  E quindi  etichettarono babbo come ‘ il napoletano’.  Che, per un casertano,  sorridendoci su, è come dare del massese al carrarino. E viceversa.  Anzi, come il napoletano del “ campeggio degli zingari, dei drogati e dei finocchi’. Perché le cose vanno scritte come stanno. O come stavano nella mente di TALUNI. Che blateravano pensieri  intrisi di razzismo (in)consapevole : così andava una parte di  mondo in Versilia, negli anni’60. Oggi è diverso: o no? E comunque  Michele Basile, contro tutto e contro  tutti quel campeggio,  che la  ' nobile'  Forte dei Marmi e l’aspirante reginetta Vittoria Apuana,  mezzo secolo fa, vedevano  come fumo negli occhi, lo aprì. Eccome se lo aprì

Erano  gli anni del boom, dei primi 'personaggioni' che calavano sul nostro scintillante litorale, delle vacanze che duravano un mese, delle case date in affitto ai ‘ signori’ e  della Capannina così elegante e generosa di bella gente. Insomma, un campeggio a Forte dei Marmi e dintorni era proprio fuori dagli schemi: come si poteva  solo tollerare? E poi un 'napoletano' a gestirlo…via.

 

E allora qualcuno, sempre del posto, si ingegnò:  bruciamo la segnaletica lungo le strade  che indica dov'è il  ‘ chempiinggg’, gettiamola per terra e se  un turista  ci chiede se c’è un campeggio a Forte diciamo “ no che non c’è. Andate alla Partaccia, lì cenno tanti chempiinggg. E stanno anche sul mare’. E in fondo avevano una parte di ragione: l’International Versilia si trovava, per una manciata di metri, sotto il comune di Seravezza.

Per  una decina di anni o giù di lì il nostro campeggio  ha vissuto di ben pochi clienti: non so come babbo e mamma riuscissero a portarlo avanti. Davvero non so.

Così come non so cosa ci vedesse babbo in quella pioppeta  appoggiata su una vecchia palude dalle parti delle ‘ Prade’,  dove aveva investito i pochi soldi di casa per darle nuova vita

:“ Un giorno arriveranno tanti caravan. Tante tende. Vedrai” ripeteva a mia mamma. Un sognatore, babbo. Ma un sognatore concreto che ha sempre anticipato i tempi

Alla fine ha  avuto ragione lui. 

All’albore degli anni ‘ 70 il campeggio, in estate, cominciò a trasformarsi in una paese. Sempre più gente: giovani, famiglie, anziani, coppie, stranieri. Di tutte le nazionalità possibili. I miei fratelli ed io siamo cresciuti in quella babele senza barriere. Ed è stato bellissimo. Si, bellissimo.

E fu così che alcuni commercianti di Vittoria Apuana  e dintorni si resero conto che i campeggiatori, quelli che loro definivano ' brutti, sporchi e cattivi' ,  al portafoglio del posto mica facevano tutto questo male: perché il denaro non ha odore. Allora mio padre da napoletano casertano era diventato, aumentando  di grado,  “ Basile,  quello del campeggio”, che restava sempre luogo di perdizione e sconcezze da cui restare distanti, almeno pubblicamente, ma che sotto sotto faceva comodo eccome al salvadanaio di casa di un certo  numero di fortemarmini.

La nostra segnaletica, però, così per 'tradizione', continuava ad essere divelta, distrutta,da qualche mano anonima e vigliacca del posto.  Così con mia sorella e i miei fratelli partivamo ,  con le biciclette, a rimettere al loro posto i cartelli.  Alla meglio, come solo dei bimbetti,  possono fare.

Poi alla fine dell'estate, quando tutto svaniva e i ricordi dei mille volti e delle mille amicizie consumate nel breve volgere di pochi  mesi  restavano silenti intorno a noi osservavo mio padre che metteva da parte attrezzi e fogli per la stagione dopo  e mi diceva: “ vedi quanto viaggia la gente? Ecco, quando sei grande, fallo anche tu. Bisogna conoscere gli altri per capire".

In realtà non ho poi viaggiato così tanto, ma penso che  qualcosa in tanti anni di campeggio, noi fratelli,  una cosa, forse,  alla fine,  l'abbiamo capita: che in quel paesone di tende e caravan dove tutti vivevano a stretto contatto  non  esistevano  distinzioni di culture, usanze, religioni. 

Perché nessuno di noi vedeva il ' diverso'.  

Certo gestire quel ' paese' non è mai stato semplice. Anzi, spesso fu molto difficile. 

Ricordo quando a  Michele Basile da Caserta alcuni campeggiatori,  clienti da una vita dissero, " basta rom qui dentro o ce ne andiamo". Mio padre  non si scompose: indicò la via di uscita.  Ai clienti  da una vita.

E quando ancora  il capo di una numerosissima comitiva rom fermo' sempre mio padre per dirgli che il nostro  guardiano notturno senegalese, non meritava rispetto per il colore della pelle tanto che un giorno gli sputarono addosso, insultandolo,  lui allontanò quella stessa carovana,  con non so quanta fatica,  dal campeggio.  

Perché le persone perbene o quelle malevoli esistono ovunque. Si, ovunque. E' un'ovvietà scriverlo, lo so, ma questa ovvietà, troppo spesso,  la celiamo . Per vigliaccheria,  forse, per paura di perdere il nostro ' tesoro',  forse ancora perchè non sappiamo essere onesti con noi stessi e allora ci barrichiamo nel recinto dei luoghi comuni. E i luoghi comuni non hanno confine: trovano ospitalità in ogni ideologia. Senza alcuna eccezione, a mio avviso.

Ma tant'è…

Oggi, quando passo davanti al nostro campeggio e vedo quell'ammasso di tronchi d'albero, ruderi e fogliame accartocciato là dove  invece c'erano risate,  tende e colori mi sento stringere il cuore e quasi mi manca l'aria.

Non è stato l'uragano a far chiudere il campeggio. Non è stata la mia famiglia a volersene andare.  No, assolutamente.

Solo  la grettezza  di qualcuno  ci ha allontanato dal nostro cortile di vita: quel qualcuno pensava di realizzarci un resort di lusso e l'ha invece di nuovo trasformato in  una palude nel nulla. Che tristezza…

Ma io e i miei fratelli in quello stesso cortile siamo cresciuti liberi. Immensamente liberi.

Da ogni stupido pregiudizio. 

E questo è il più grande regalo che Michele Basile di Casapesenna,  Casal di Principe, Caserta, ha fatto e continua a fare ai suoi figli. Alla sua famiglia. E in fondo a quella Versilia che ha amato fin dal primo giorno in cui l’ha incontrata. 

 

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