NEI LUOGHI DELLA GUERRA IN UCRAINA: INTERVISTA A MELANIA CARNEVALI, GIORNALISTA

Melania Carnevali, giornalista e inviata de Il Tirreno, con trascorsi nelle redazioni di Viareggio e Massa, di recente e’ stata, per una serie di reportage sulla guerra, in Ucraina. L’abbiamo intervistata per conoscere il punto di vista di chi, il conflitto, l’ha visto, giorno dopo giorno, con i propri occhi.

Melania, cominciamo dalla fine: l’ultima immagine dell’Ucraina che ti e’ rimasta impressa?

“È proprio l’ultima immagine che mi ha dato. Il volto smarrito di Anastasia, una ragazza di 27 anni di Kiev, che ho accompagnato in Italia. In auto, era spesso sull’orlo della lacrime. La vedevo disperata. E non per le bombe, ma per il fatto di essere stata costretta a lasciare il suo paese, il suo lavoro, la sua famiglia, il suo fidanzato, insomma la sua vita, senza sapere se e quando potrà riprendersela. È il lato più silenzioso, ma dolorossisimo, della guerra. Ho provato ad applicarlo su di me ed e’ stato  spaventoso”

Come si organizza, da sola in questo caso, un viaggio di lavoro in una zona di guerra?

“In genere si cerca un fixer, che aiuta a organizzare tutto, spostamenti, pernottamenti, interviste. Io non ne avevo trovati. I pochi che c’erano,  erano già occupati con altri giornalisti da tutto il mondo. Attraverso un contatto nella comunità ucraina Toscana, sono arrivata a un ragazzo ucraino di Leopoli che mi ha aiutata a trovare un supporto a Kiev”

L’idea che avevi della guerra in Ucraina, prima di recarti a Leopoli e a Kiev, e’ la stessa  che hai oggi?

“Si. La propaganda è da entrambe le parti, ma quello che vediamo è quello che succede: un paese ha invaso un altro paese  che si sta difendendo con tutti i mezzi che ha”.

Sei  stata spettatrice, diretta, del conflitto: in Italia e non solo in Italia c’è chi però  mette in dubbio la veridicità di bombardamenti e bombe bollandoli  come fake. Il tuo pensiero su queste posizioni?

“LI vorrei far parlare con chi ha perso tutto. Capisco che, oggi, nel mare di fake news in cui navighiamo, sia difficile comprendere cosa sia reale e cosa no. Posso comprendere e accettare i dubbi, ma non la prepotenza e la superficialità”

Conosci, meglio di altri, la storia del conflitto Russia-Ucraina,  che non nasce nel 2022: quale idea ti sei fatta?

Il conflitto come sappiamo è scoppiato nel 2014 dopo la rivoluzione di Euromaidan terminata con la cacciata del presidente filo russo Yanukovich, l’invasione della Crimea e il movimento indipendentista del Donbass. Ma fino al 24 febbraio era una guerra, oltreché di bassa intensità, come viene definita, oserei dire interna. Sia Euromaiden, sia la rivoluzione dei separatisti e anche l’annessione della Crimea, che è stata preceduta da un referendum, seppur non riconosciuto dalla comunità internazionale, sono stati affari interni di un popolo che rivendicava l’appartenenza a un altro Stato. Con metodi che io personalmente non condivido, ma sono comunque richieste legittime. Richieste che la Russia non vedeva l’ora di avvallare per rifocillare il suo poter in un’area che si stava spostando sempre più verso Occidente. La guerra iniziata è febbraio è tutta un’altra cosa. È una guerra vecchio stile tra due Paesi, uno dei quali ha invaso l’altro, E perché lo ha fatto? Non credo che la Russia voglia conquistare l’Ucraina. Credo che se fosse stato questo l’obiettivo lo avrebbe già fatto. Avrebbe usato tutta la sua potenza militare e avrebbe raso al suolo tutta Kiev. Io credo che punti anzitutto alla neutralità dell’Ucraina per aumentare le distanze territoriali tra sé e i confini Nato e a prendersi quello che reputa suo, tutto il Donbass. Ricordiamo che Donetsk e Lugansk, prima della rivoluzione del 2014, erano note per l’industria pesante e l’estrazione del carbone. E sono risorse fondamentali per l’economia russa.

La resistenza degli ucraini si basa solo su un forte senso del patriottismo o anche su un consolidato apparato militare?

“Molti membri della resistenza, in particolare i capi, hanno già combattuto in Donbass: sono addestrati e perfettamente organizzati come una forza militare. E , come una forza militare, si coordina con le altre forze in campo”.

Come se ne esce da un conflitto del genere o temi che ci sarà un allargamento della guerra?

“Se ne esce con la diplomazia, scendendo a compromessi”.

Cosa chiedono gli ucraini ai giornalisti?

“ Non ho ricevuto richieste particolari. Sanno che stiamo dalla loro parte. O almeno sanno che la maggior parte dell’opinione pubblica sta con loro”.

Cosa si può fare, non in modo retorico, ma pratico, per aiutare i profughi?

“La macchina della solidarietà sta funzionando. In Ucraina sanno arrivando tonnellate di aiuti umanitari. Quello che manca, o almeno mancava quando mi trovavo  là, erano i trasporti. Servono mezzi per accompagnare i profughi in Italia o negli altri paesi e far sì che non siano costretti a passare giorni accampati nei centri allestiti sui confini. Molti, in Toscana, come nel resto dell’Italia, hanno aperto le porte delle loro case per accoglierli. È un buon esempio da seguire. L’importante è che le persone che accolgono non vengano abbandonate dalle istituzioni nel percorso di inserimento”

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